Ideas for a public sector that works for people

PUBLIC LAW . CONSTITUTIONAL ECONOMICS . COMMON GOOD


Editoriale

Stiamo perdendo l’abitudine di chiederci il perché delle cose, di contemplare le realtà in cui viviamo lasciandoci interrogare e meravigliare dalla scoperta dell’intima relazione che c’e tra di esse. Alla profondità di pensiero si preferisce la tecnica, la rapidità di esecuzione e la comunicazione istantanea. Tutte abilità essenziali per districarsi nel groviglio di norme e interessi che affollano la nostra realtà politico-istituzionale, ma insufficienti per affrontare la complessità dei nostri tempi guardando al bene comune e a una società più giusta e inclusiva.

Il mondo della professione legale e la formazione giuridica non fanno eccezione. Ci consideriamo dei tecnici delle norme più che giuristi chiamati a svolgere un ruolo critico nei confronti delle dinamiche di esercizio del potere e delle forme e dei contenuti del diritto. Così facendo però, rinunciando cioè a porsi domande sulla verità, – parafrasando le parole di Hannah Arendt in riferimento a Eichmann – si rischia di diventare incapaci di interrompere il flusso del discorso che domina le nostre menti, che allora non può più essere messo in questione ma solo essere eseguito come un ordine. 

Il compito del giurista è però ancora oggi quello indicato da Carl Schmitt: «Non possiamo sceglierci, secondo i nostri gusti, i regimi e i mutevoli detentori del potere, ma tuteliamo, con il cambiare delle situazioni, ciò su cui poggia un modo razionale di essere uomini che non può fare a meno dei principi del diritto. Di tali principi fa parte un riconoscimento della persona che non venga meno neppure nella contesa e che poggi sul rispetto reciproco; una sensibilità per la logica e per la coerenza dei concetti e delle istituzioni; il senso della reciprocità e del livello minimo di regolarità procedurale, del due process of law, senza cui non c’è diritto».

Questo progetto editoriale nasce per provare a rendere esplicito ciò che è implicito. Per riflettere e per riprendere a coltivare quell’abitudine propria della nostra cultura giuridica e dei grandi maestri del diritto di interrogare il tempo in cui viviamo ricercando il fondamento delle norme che danno vita all’ordine politico-giuridico-economico e la razionalità delle dinamiche giuridico-argomentative che si svolgono sulla sfera pubblica, secondo la prospettiva propria del due process of law, la cui forza compositiva – per usare le parole di Giorgio Berti – è basata sul «primato dei diritti individuali e quindi sulla necessità di verificare in confronto a questi diritti la giustificazione dei fini pubblici».