Se la gestione dell’emergenza sanitaria provocata dal dilagare del COVID-19 in Europa e nel mondo delinea un quadro davvero preoccupante del nostro presente, il futuro si preannuncia non solo pieno di incognite sul piano sanitario, economico e sociale ma ricco di potenziali cortocircuiti sul piano dell’equilibrio tra i valori della sicurezza sociale e della libertà personale.
All’impreparazione mostrata nelle scorse settimane sul piano dell’emergenza sanitaria, nel futuro prossimo rischia di associarsi quella che interessa il piano socio-politico, aggravata dall’assenza nelle nostre società di sicuri anticorpi in grado di difendere quelle conquiste di libertà faticosamente raggiunte nel secolo scorso, minacciate da un potere economico e tecnologico che, pur assumendo sembianze benevole, si fa largo sempre più prepotentemente nelle nostre vite.
Temo seriamente che la gestione del post emergenza si caratterizzerà per una violenta esplosione delle contraddizioni già in essere nelle nostre società, alimentate dall’insicurezza, dalla paura e da una rinnovata disponibilità degli individui a concedere crescenti deroghe rispetto ai principi di fondo su cui si reggono le nostre democrazie costituzionali.
Alla luce di quanto emerge da una ricerca pubblicata dalla MIT Technology Review è possibile evidenziare come COVID-19 e distanziamento sociale se, da un lato, stanno facendo riscoprire il ruolo sociale delle élite competenti (medici e scienziati), dall’altro, stanno contribuendo a sdoganare l’idea di una società nella quale non solo (fuori dall’élite) uno vale uno, ma che si può vivere isolati (o in gruppi molto ristretti) dal resto della società pur risultando nello stesso tempo pienamente connessi ad essa.
Tuttavia, tanto una società senza élite quanto un’élite senza società mi paiono essere entrambi binomi pericolosi. Il buono (o meglio, il bene comune) sta nella loro relazione, non nella loro gerarchizzazione. E, una società debole, anche senza esplicite e manifeste derive autoritarie, resta comunque una società di sudditi o, nel migliore dei casi, un gregge di pecore pronto per essere guidato.
Se questo è lo scenario che ci aspetta, le riflessioni di Michel Foucault sulla biopolitica mi paiono rappresentare una bussola importante per riflettere sul futuro con cui le nostre democrazie costituzionali dovranno confrontarsi. Siamo palesemente culturalmente impreparati ad affrontare tutto questo.
Fino ad ora si è fatto riferimento a questa categoria foucaultiana – soprattutto nel tentativo di attaccare l’UE – in modo del tutto inappropriato, sbagliando clamorosamente bersaglio. Dopo esserci sbarazzati delle regole europee ed una volta abbassate le difese immunitarie della società contro il potere, quale contesto migliore del post emergenza globale per realizzare l’ambizione di funzionalizzare la società ad esso. La differenza però rispetto al passato risiederà forse nel fatto che quel potere quasi sicuramente non sarà quello politico (che tanto abbiamo temuto nel secolo scorso), ma quello economico-tecnologico nei confronti del quale quello politico si candida ad essere sempre più funzionalizzato.
La difesa degli spazi di libertà faticosamente conquistati nel secolo scorso rappresenta perciò un terreno di confronto essenziale tanto del dibattito accademico-scientifico quanto nell’opinione pubblica.
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